L’Ucraina, l’Europa, la Russia. Salvare il vecchio continente da una guerra inutile e dannosa
Non sono contrario in assoluto alla violenza. Su di me il buonismo di matrice cristiana non ha trovato terreno fertile. Ma sono fortemente, fermamente contrario, alle cose inutili e dannose. E la guerra in Ucraina, così come una sua eventuale escalation su base europea e mondiale, sarebbero cose totalmente inutili e dannose. Per questo io le condanno entrambe.
ROMANO PRODI COME TESTIMONE
Inizierò citando un testimone più che attendibile. Come si dice nei film “un rispettabile membro della comunità”. Si tratta di Romano Prodi: “Quando, ai miei tempi, lavorai all’allargamento dell’Unione europea, da presidente della Commissione, Putin mi disse che per lui l’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, dal punto di vista economico, non era un problema. La sua ossessione era la Nato. Lo ripeteva sempre. Ci diceva e mi diceva: io non farò mai affari con la Cina, la Nato però non deve mettere un piede né in Georgia né in Ucraina”. Romano Prodi fu Presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004. Ne deduciamo, dati gli stretti legami tra lui, Washington e gli altri capi di stato europei, che la “questione ucraina” fosse chiara a tutti fin da quegli anni.
IL DESTINO DELL’UCRAINA NELLA NATO
Nel 2019, il giorno dopo la firma del protocollo di adesione alla Nato della Macedonia del Nord, l’Ucraina ha compiuto un atto senza precedenti: ha incluso nella propria costituzione l’impegno a entrare ufficialmente nella NATO e allo stesso tempo nell’Unione europea. L’atto fu fortemente voluto dall’allora presidente Petro Poroshenko, un oligarca dai contorni decisamente opachi, diventato improvvisamente ricco dopo aver saccheggiato le proprietà statali. Il nuovo testo della costituzione ucraina al preambolo annuncia: “il corso irreversibile dell’Ucraina verso l’integrazione euro-atlantica”. Gli Articoli 85 e 116 rincarano la dose dicendo che “compito fondamentale del parlamento e del governo è ottenere la piena appartenenza dell’Ucraina alla NATO e alla UE”. L’Articolo 102 stabilisce che “il presidente dell’Ucraina è il garante del corso strategico dello Stato per ottenere la piena appartenenza alla NATO e alla UE”. L’esecutore materiale degli emendamenti alla costituzione fu l’allora presidente del parlamento di Kiev Andriy Parubiy, già cofondatore, nel 1991, del Partito Nazionalsocialista Ucraino, leader delle formazioni paramilitari neo naziste, nonché capo del Consiglio di Difesa e Sicurezza Nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità di estrema destra, attaccò i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese. All’attivo del battaglione Azov azioni squadristiche, feroci pestaggi, devastazioni di sedi politiche e roghi di libri.
Lascio al lettore le ovvie analogie.
Sul piano della politica interna le conseguenze furono serie: si vincolava a tale scelta il futuro dell’Ucraina, escludendo qualsiasi alternativa. Si mettevano di fatto fuorilegge non solo i partiti di ispirazione comunista, cosa già avvenuta de facto con le leggi sulla de comunistizzazione del 2015, grazie alle quali il Partito Comunista d'Ucraina, il nuovo Partito Comunista d'Ucraina e il Partito Comunista dei Lavoratori e dei Contadini vennero privati del loro diritto di partecipare alle elezioni. Con le modifiche costituzionali qualsiasi partito o persona che si opponeva al “corso strategico dello Stato”, avrebbe potuto seguire la loro sorte.
Poroshenko era diventato impresentabile. La fortuna personale del grande paladino dell’Alleanza Atlantica, mentre il suo paese era scosso dalla crisi economica, arrivò a 400 milioni di dollari. Nell’aprile 2019 viene fuori dal cilindro il debole ed inesperto Voldomir Zelensky, di professione comico, che vince le presidenziali battendo Poroshenko e raggiungendo il 70% dei suffragi. La campagna elettorale fu incentrata sulla lotta alla corruzione e al potere degli oligarchi, cosa che gli costò anche l’epiteto di “populista”. Ma Zelensky non toccò mai la questione, sostanziale, dell’ingresso nella NATO.
RIMPIANGEREMO TRUMP?
Donald Trump guardava l’Ucraina da lontano. Aveva il suo bel da fare con la Cina e lo scacchiere asiatico. E, per lui, la politica estera era sostanzialmente un problema più commerciale che militare. I competitors degli Stati Uniti andavano battuti anzitutto sul piano economico, cui sarebbero seguiti quelli politici e militari. L'amministrazione Trump reagì con distacco, se non con fastidio, alla modifica della costituzione ucraina, reputandola un fatto inutile che avrebbe irritato Mosca, senza che gli Stati Uniti ci guadagnassero granché. Fu, da parte di Poroshenko e Parubiy, un inutile atto di piaggeria che gli americani ritennero improprio.
Oggi Trump, di fronte allo scenario di guerra, dichiara che Putin “con me non si sarebbe comportato così”. Non stento a crederci. Trump mise la NATO in formalina avvertendo i partners europei che lo scudo militare americano aveva dei costi e che tutti i paesi membri avrebbero dovuto mettere mano, seriamente, al portafogli. Lì l’attivismo della NATO si spense magicamente, per poi riprendere con l’avvento di Joe Biden, che accantonò l’aspetto economico della questione.
Biden, in politica estera, non ne ha azzeccato una, trasformando la guerra commerciale americana in una guerra militare. Arrivando ai ferri corti con Mosca e facendo stringere sempre di più i rapporti tra Cina e Russia. Se Trump era saggiamente riuscito a tenere divisi i due colossi, Biden è riuscito nel capolavoro di tenere unite due superpotenze che hanno interessi geopolitici a tratti divergenti. Con Biden l’importazione di materie prime russe da parte della Cina è salita esponenzialmente. Così come si sono moltiplicate le cooperazioni economiche Pechino-Mosca sugli scenari africani.
Un capolavoro made in USA.
PUTIN FIGLIO DI SOLGENITSIN
Putin non è un comunista. Non gli interessa esportare il “modello” russo su scala planetaria. E’ molto più figlio di Solgenitsin che di Stalin ed ha in mente lo schema classico dell’imperialismo zarista. Le avventure in Africa non vogliono creare regimi che impongano un ordine ideologico, ma solo assicurare materie prime e sbocchi commerciali. Esattamente come nello stato zarista, il commercio ha la meglio sull’ideologia. Putin è coerentemente uno slavofilo: la sua politica estera persegue le classiche direttrici della politica russa fin dal principato di Novgorod. L’accesso al Baltico, l’accesso al Mediterraneo, la creazione di un cuscinetto tra la Russia e l’Europa, la messa in sicurezza del Caucaso e delle steppe dell’Asia centrale, l’accesso al sub continente indiano.
L’Asia centrale è al sicuro. Le ex repubbliche sovietiche di quell’area sono partner affidabili. Il ritiro dall’Afghanistan ha bloccato ogni velleità per quel riguarda l’accesso all’Oceano indiano. La presenza della NATO di Estonia, Lituania e Lettonia, fino ad ieri, ha di fatto ha stabilizzato il fronte Baltico. Restano, come temi da affrontare per Putin, il Caucaso, il Mediterraneo e la “zona franca” tra Russia e NATO. Fino ad ieri il cuscinetto formato da Bielorussia e Ucraina funzionava. Un cuscinetto strabico con Minsk che guardava ad Est e Kiev che guardava ad Ovest. Ma funzionava. E’ chiaro che l’annunciata e destinata adesione dell’Ucraina alla NATO avrebbe cambiato la prospettiva.
LA FINE DELLA GLOBALIZZAZIONE E LA SCONFITTA DEL LIBERISMO
Cosa non comprende l’Europa? Che l’ideologia della “fine della storia”, il liberismo inteso come unità di mercato e diritti che cammina sulle gambe della cosiddetta “globalizzazione”, ha cessato definitivamente di esistere. Fino ad ieri si credeva che le “stranezze” russe non avrebbero interferito sul glorioso cammino dei mercati. Che il soldo e la sua “cultura”, nel loro immenso splendore, avrebbero vinto su scala planetaria. La vicenda Ucraina, con il corredo dell’avvicinamento tra Pechino e Mosca, segna uno spartiacque. L’Occidente sbatte la faccia contro un sistema di valori alternativo in cui l’imperialismo “classico” prende la sua rivincita contro la modernità liberal borghese. Che separa “il soldo” dai valori. L’idea di interesse nazionale batte la cosiddetta società globale. Ed i valori liberali vengono sconfitti da quelli ancestrali dei popoli. Non è un caso che Putin abbia costruito parte delle sue fortune godendo dell’appoggio della chiesa ortodossa, da anni impegnata in una guerriglia interna contro l’espansionismo dei cattolici. E non è un caso se i vertici della chiesa cattolica abbiano, di fatto, abdicato di fronte alle istanze "moderniste". Bergoglio, il “papa socialista” viene preso come esempio dalla sinistra liberal borghese ma semplicemente tollerato dalla sua stessa chiesa.
IL PUTINISMO SOPRAVVIVERÀ A PUTIN
Sbaglia chi crede che lo scontro tra Russia ed Europa sia solo economico. Lo è, ma è anche un combattimento tra sistemi di valori. Sbaglia chi crede che, tolto Putin, la Russia potrà essere “normalizzata”. Tutti i tentativi in tal senso sono sempre falliti. E anche chi ha portato avanti con determinazione l’occidentalizzazione della Russia lo ha fatto sempre e solo in superficie. Pietro il grande, ad esempio, dall’allora repubblica d’Olanda, ha importato le tecnologie all’avanguardia, ma non le libertà degli individui, né quei sistemi di governo. Le opposizioni liberali, oggi, non riescono a scaldare i cuori della Russia profonda e sono molto più note ai media occidentali che ai cittadini fuori Mosca e San Pietroburgo.
Putin potrà anche morire, un giorno. Ma il putinismo sopravvivrà.
IN UNA GUERRA L’EUROPA RISCHIA TANTO, GLI USA NO
Cosa insegna tutto questo a noi europei? Che la Russia è una presenza ingombrante e seria. Ma anche che gli Stati Uniti non sono affidabili. Per loro una guerra in Ucraina sarebbe il male minore. Potendo contare su di un corredo di alleati le perdite sarebbero equamente distribuite. Lo sforzo logistico sarebbe sopportato anzitutto dagli europei. E la guerra, materialmente, graverebbe sulle popolazioni civili d’Europa. Sarebbero anzitutto Romania, Polonia, Finlandia, Slovacchia, Ungheria ad essere coinvolte nell’allargamento del conflitto. Poi il resto del vecchio continente. Di certo non il Wyoming o il Colorado.
Certo gli Stati Uniti si offrirebbero di ricostruire tutto. Ma si sa che la ricostruzione è un affare. Insomma in una eventuale guerra europea Washington rischia relativamente poco. Talmente poco che, per gli americani, varrebbe la pena farla anche solo per raggiungere un aggiustamento tattico favorevole.
Gli uomini e le donne d’Europa, invece, rischierebbero le loro vite.
ITALIA: IL VELO PIETOSO ED IL LENZUOLO SPORCO
E l’Italia? Vi direi: stendiamo un velo pietoso. Ma ogni lenzuolo si sporcherebbe. Il governo Draghi fa gli interessi degli Stati Uniti. E gli Stati Uniti hanno bisogno di un vecchio continente debole e diviso. Il governo Draghi è stato attivo per tentare di allontanare Francia e Germania con il trattato del Quirinale rendendo ancora più debole l’Europa. Un trattato che avrebbe avuto un grande senso politico se Berlino fosse stata resa partecipe. Ma così non è stato. Il trattato del Quirinale è stato una manovra poco accorta e mal riuscita, tant’è che i rapporti franco tedeschi restano ancora solidi. Questo in barba allo strombazzamento dei media nostrani.
Nonostante la nostra gloriosa tradizione di politica estera tesa al dialogo Est Ovest, siamo stati silenti, dicendo qualcosa solo quando i giochi erano già fatti.
Questo al netto delle figure poco edificanti fatte dal nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Il sogno draghiano di ereditare, nell’Unione Europea, il ruolo di alleato fidato degli Stati Uniti che fu della Gran Bretagna, ci ha portati all’irrilevanza e al bassissimo cabotaggio conto terzi.
Non si possono servire due padroni. O si punta sulla nascita di un vero soggetto politico europeo, che non sia solo un mercato, o su di una politica che sia solo la copertura degli interessi statunitensi veicolati dalla NATO. Io ovviamente sceglierei la prima ipotesi.
Dico di più: l’invasione russa dell’Ucraina è stata resa possibile anzitutto dalla debolezza del vecchio continente. Se l’Europa fosse stata una cosa seria, un vero stato sovranazionale, Putin si sarebbe ben guardato dall’attentare alla sovranità ucraina.
L’UNICA RISPOSTA E’ L’EUROPA. QUELLA VERA
In fondo i veri responsabili della situazione in Ucraina e della sofferenza di quel popolo, siamo noi europei. Se fossimo state persone serie avremmo dato vita non ad una Unione, ma ad uno Stato transnazionale, con tanto di politica energetica, politica estera, difesa ed economia comuni, con l’ovvio corredo di giustizia sociale e libertà individuali e collettive. Invece abbiamo scelto di partire dalla moneta, cosa che ha portato più danno che utili. Abbiamo scelto, come europei, l’irrilevanza ed abbiamo accettato, come Unione, di essere il trampolino di lancio verso l’adesione alla NATO dei paesi dell’Est. L’Europa si è ingigantita inutilmente, inglobando dentro di se corpi decisamente estranei. Come definire, se non così, la Polonia ultra cattolica e l’Ungheria di Orban?
Solo un’Europa forte, compatta nei suoi valori, depurata dal vile mercato, dalle ancora più vili libertà economiche, che segnano non opportunità ma sempre e solo maggiori diseguaglianze, e dalla sua sudditanza agli Stati Uniti, può dialogare da pari a pari con la Russia. Una Russia che ha pieno diritto di avere confini sicuri, ma che ha il dovere di rispettare l’integrità territoriale delle nazioni confinanti.
Esistono tanti modi per essere orgogliosamente Occidente. Non esiste solo l’Occidente che ha come centro di gravità Washington.
Oggi, purtroppo, siamo costretti a salvare il salvabile. A fare di tutto per evitare che questa nostra cara e vecchia Europa, che tanto ha dato al mondo in termini di civiltà, venga umiliata ed offesa da una guerra inutile e che tanti suoi cittadini trovino, inutilmente e stupidamente, la morte.
Mario Michele Pascale
E' sempre la solita storia. Abbiamo perso una guerra alla metà del secolo scorso e dobbiamo pagare il debito per una ventina di generazioni almeno. Nemmeno la peggiore delle cambiali